THINK




Quando la storia si presenta come un film

Alessandro Baricco


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E tutti ci ricorderemo dove eravamo in quel momento. Seduti in macchina a

cercar parcheggio, con la testa tra i surgelati a cercar la paella, davanti

al computer a cercare la frase giusta. Poi uno squillo di telefonino, e

l'amico, il parente, il collega che ti staccano una storia inverosimile di

aerei e grattacieli, ma va' via, dai, lasciami perdere che oggi è già una

giornata difficile, ma lui non ride e dice: ti giuro che è vero. Ricorderemo

l'istante passato a cercare in quella voce una qualunque sfumatura di

ironia, senza trovarla. Ti giuro che è vero. E non dimenticheremo la prima

persona a cui abbiamo telefonato, subito dopo, e nemmeno quel pensiero -

immediato, sciocco ma incredibilmente reale - "Dov'è mio figlio?", i miei

figli, la mamma, la fidanzata, domanda inutile, perfino comica, lo capisci

subito dopo, ma intanto è scattata - la Storia siamo noi, è solo un verso di

una canzone di De Gregori, ma adesso ho capito cosa voleva dire -

risvegliarsi con la Storia addosso. Che vertigine.

Neanche sappiamo esattamente cosa è successo. Ma certo la sensazione è

precisa: molte cose non saranno mai più come prima. E molte cose non saranno

più, tout court. Invidio l'intelligenza e la lucidità di chi è capace, qui e

adesso, di capire quali e di dircelo. Aspetto fiducioso. E intanto non

riesco a non ripensare alla frasetta che tutti pronunciano, ossessivamente,

senza paura di essere banali: è come un film. E' ovvia, eppure tutti la

ripetono, e ci deve essere qualcosa lì dentro che vogliamo dire ma non

riusciamo a capire, qualcosa che abbiamo in mente, e che è importante, ma

che tuttavia non riusciamo a tirar fuori. Me la rigiro nella testa, la

frasetta, e arrivo a capire che c'è qualcosa, in quello che vedo alla

televisione, che non quadra, e non sono i morti, la ferocia, la paura, è

ancora qualcosa d'altro, qualcosa di più sottile, e mentre vedo per

l'ennesima volta quell'aereo che vira e centra il totem sberluccicante nella

luce del mattino, capisco quello che mi sembra, davvero, incredibile, e

anche se mi sembra atroce dirlo, provo a dirlo: è tutto troppo bello. C'è

un'ipertrofia irragionevole di esattezza simbolica, di purezza del gesto, di

spettacolarità, di immaginazione. Nei diciotto minuti che separano i due

aerei, nello sgranarsi degli altri veri e falsi attentati, nella

invisibilità del nemico, nell'immagine di un Presidente che se ne parte da

una scuoletta della Florida per andare a rifugiarsi nel cielo, in tutto

questo c'è troppa maestria drammaturgica, c'è troppo Hollywood, c'è troppa

fiction. La Storia non era mai stata così. Il mondo non ha tempo di essere

così. La realtà non va a capo, non concorda i verbi, non scrive belle frasi.

Noi lo facciamo, quando raccontiamo il mondo. Ma il mondo, di suo, è

sgrammaticato, sporco, e la punteggiatura la mette che è uno schifo. E

allora perché la storia che vedo accadere in quel televisore è così

perfetta? Perché è già perfetta prima che la raccontino, nello stesso

istante in cui accade, senza l'aiuto di nessuno?

Allora mi sembra di capire qualcosa di quella frasetta ripetuta

ossessivamente, è come un film. La ripetiamo perché lì dentro stiamo

cercando di pronunciare una paura ben precisa, una paura inedita, mai avuta

prima: non è il semplice stupore di vedere la finzione diventare realtà: è

il terrore di vedere la realtà più seria che ci sia accadere nei modi della

finzione. Ti immagini l'uomo che ha pensato tutto quello e puoi forse

sopportare la ferocia di quello che ha pensato, ma non puoi sopportare

l'esattezza estetica con cui l'ha pensato: come l'ha fatto è spaventoso

almeno quanto quello che ha fatto. Ne siamo terrorizzati perché è come se

qualcuno, improvvisamente e in modo così spettacolare, ci avesse portato via

la realtà: è come se ci informasse che non ci sono più due cose, la realtà e

la finzione, ma una, la realtà, che ormai può accadere soltanto nei modi

dell'altra, la finzione: e non solo per scherzo, nelle trasmissioni

televisive in cui veri uomini diventano falsi per far finta di essere veri,

ma anche nelle curve più reali, atroci, clamorose e solenni dell'accadere.

Sembrava un gioco: adesso non lo è più.

Non so. Chi sa mi spiegherà cos'è successo l'11 settembre 2001, e cosa è

cambiato per sempre, ieri. Io sto giusto pensando che, tra le altre cose, è

anche successo che è andato in corto circuito il raffinato meccanismo con

cui la nostra civiltà da tempo scherzava col fuoco e drogava la realtà

spingendola verso le performences che sarebbero solo a portata della

finzione. Credevamo di poter mantenere un sufficiente dominio su quel

giochetto. Ma qualcuno, da qualche parte, ha perso il controllo. A nome di

tutti. Adesso è facile chiamarlo pazzo, ma è evidente che è pazzo di una

pazzia assai diffusa in famiglia. L'abbiamo coltivata allegramente: adesso

eccoci qui, con il televisore davanti che ci srotola quella storia

smerigliata e perfetta, eccoci qui, col vago sospetto di essere lo show del

sabato sera di qualcuno. Qui a guardarci intorno impauriti, giusto per

verificare che tutto questo è vita, magari morte, ma non un film.